lunedì 17 novembre 2008

Caro Brunetta...

Caro Ministro,

la Sua nobilissima decisione di consacrare la sua esistenza alla lotta contro i fannulloni e parassiti della Pubblica Amministrazione mi ha folgorato come accadde a San Paolo sulla via di Damasco. Pertanto, ho deciso di offrirle un mio piccolo contributo alla risoluzione del problema.

Innanzitutto, faccia così: si liberi da certi pregiudizi pietistici figli della cultura del politicamente corretto e del 6 politico e tratti gli statali, indiscriminatamente, da ciò che sono: dei delinquenti che non si rassegnano all'idea che, non essendo nati dalla parte della razza eletta, a loro tocca solo essere degli schiavi a vita come quelli del settore privato. Che cosa sono questi strumenti antiquati come il cartellino marcatempo o i tornelli! Lo strumento migliore per tenerli sotto controllo come si deve, è il braccialetto elettronico. Una volta sperimentato sui carcerati (che, Lei lo sa, di solito sono persone molto migliori degli statali, specie di quelli di sinistra) non dovrebbe essere difficile estenderlo anche ad altre categorie che ne sono degne. Quanto ai possibili costi, nessun problema: si rivolga pure a Tremonti e, un taglio qua, una sforbiciata là, le risorse usciranno. Pensi poi all'impulso che ne riceverebbe il Pil, dalla produzione in massa di simili, raffinati strumenti tecnologici: poi potrebbe anche vantarsi di essere un buon socialdemocratico, che applica politiche keynesiane (lo Stato spende in modo utile e rilancia la domanda interna), senza contare la gratitudine di cui certo la farebbe oggetto il presidente del Consiglio, perché è virtualmente impossibile che, in mezzo alle 700 e passa imprese di cui quest'ultimo è azionista, non ce ne sia anche una che produce braccialetti elettronici. E, si sa, nessuna impresa, in Italia, funziona meglio di quelle del Presidente: mai uno sciopero, mai un'ora di lavoro persa in nessun modo. Altro che cinesi, coreani o giapponesi.

Poi le suggerirei di applicare un metodo pressoché infallibile per stanare i fannulloni peggiori, tra l'altro un metodo che ebbe un grande successo al tempo in cui al governo c'era (con una maggioranza parlamentare simile a quella di oggi) un altro socialista passato a destra, ossia Mussolini: la delazione, meglio se anonima. Nell'attesa di istituire ufficialmente quelle belle figure come i capi-palazzo che, ai bei tempi in cui i treni arrivavano in orario, garantivano l'immediata identificazione e punizione di tutti i disfattisti che "remano contro il loro Paese", provi a far partire un esperimento pilota nella Pubblica Ammistrazione e proponga a tutti gli statali non ancora del tutto corrotti dalla sinistra e dal sindacato di denunciare i loro colleghi più fannulloni a un numero verde. D'altronde, a livello parlamentare, non dovrebbe incontrare grandi problemi a far passare una norma simile. Anche la sinistra (vedi Pietro Ichino) ogni tanto si fa venire un'idea del genere: ma è ovvio che, proprio in quanto sinistra, non saprebbe mai concretizzarla. Per usare il pugno di ferro, occorre essere uomini davvero, non necessariamente all'altezza del Presidente, ma il più vicini possibile al suo ideale. Per questo, quindi, l'operazione repulisti, nello Stato, deve iniziare dalle donne, naturalmente più deboli, emotive, ormonali, uterine, isteriche, piagnucolose, convinte che (orrore!) basti aver preso un titolo di studio per meritare un lavoro dignitoso, sempre pronte a lamentarsi di molestie sessuali di fronte a ogni "carineria" che si concede loro. Come non ha detto Cossiga, ma certamente lo pensa (e con lui tanti, tanti, tanti altri: tutti ottimi elettori, ministro, lo ricordi), prima si sbattono fuori queste puttane e meglio è.

Così, per dare il buon esempio, comincio a denunciarne una io, che sta nella mia stessa amministrazione. Una fannullona, mi creda, che non la batte nessuno. Una che prende uno stipendio favoloso per non fare assolutamente nulla, che lascia tutto il lavoro agli altri e poi salta fuori all'ultimo momento per prendersene il merito. Una che, ufficialmente, dovrebbe andare dappertutto e poi non va da nessuna parte, solo qualche volta dove è sicura di trovare solo amici. E poi è anche in età fertile, quindi sicuramente si sta preparando a mettersi in maternità, sulle spalle dei contribuenti, appena le viene comodo. Insomma, se pagarla non è buttare i soldi dalla finestra, cos'altro lo è? Forse lei la conosce: si chiama Gelmini, Maria Stella Gelmini.

domenica 16 novembre 2008

L'uomo nero, i mezzi uomini, gli uominicchi e i quaquaraquà

Da Washington. Berlusconi a Bush: "Visto che, la prossima volta che vengo qui, al tuo posto ci trovo un Bingo Bongo, che ne dici se gli porto in omaggio un bel casco di banane?". Il giorno dopo, lo stesso ai giornalisti. "Maledetti comunisti, imbecilli, disfattisti, siete sempre pronti ad attaccarmi qualunque cosa dico. Era una battuta di carineria..."
Forse sto esagerando, ma nell'Italia attuale può succedere questo e altro. Per esempio, che Calderoli racconti a una riunione di leghisti fedelissimi (quelli che "ce l'hanno duro"... ma che avete capito, si parla del comprendonio) che, in Usa, dopo l'elezione di Obama, si stia preparando un importante referendum, per cambiare l'inno nazionale che non sarà più "Stars and Stripes Forever". Gli elettori dovranno scegliere tra "Arriva il Negro Zumbon" e "Bingo Bango Bongo voglio andare fino al Congo".
Con questo, tra l'altro, voglio dimostrarvi che per essere razzisti non occorre nessuna intelligenza particolare. Come vedete, ci riesco benissimo anch'io che non lo sono e direi che ci riesco molto meglio di chi lo è. Sfido qualsiasi elemento del Ku Klux Klan a inventare battute più divertenti e meno scontate sul tema delle due che vi ho appena proposto.
Buttiamola sul ridere per non piangere. Le cose vanno già abbastanza male da sole, non è il caso di farci altro male da soli sciogliendoci in lacrime. Pensate un po', non riesco a piangere nemmeno per Miriam Makeba, che ha scelto il posto più fetente delal Terra (perché nel Terzo Mondo almeno hanno l'alibi del sottosviluppo: a Castelvolturno, invece, i denari scorrono a fiumi) per dare l'addio al mondo più elegante che un'artista del suo calibro possa immaginare. Se proprio vogliamo versare qualche lacrima, non dedichiamola a questa meravigliosa figura materna che ha semplicemente concluso un po' prima del previsto una vita bella e utile, a modo suo, come poche; piangiamo per noi stessi, che siamo rimasti un po' più soli in un mondo in cui lei non c'è più ma i camorristi sono rimasti.

Dato che sono in vena di battute, ve ne voglio proporre una che non potrete mai ripetere in pubblico, pena la riprovazione generale a vita: a Lecco stanno a fare tante storie circa l'accanimento terapeutico su Eluana Englaro mentre in Sicilia la situazione va ancora oltre, l'accanimento terapeutico di alcuni medici si spinge al punto da continuare a curare i malati anche dopo che sono morti e sepoliti da decenni.
Perché una battuta così non si può dire in pubblico? Lo sapete meglio di me, perché qui in Italia la "serietà" sembra essere diventata il monopolio dei minorati mentali. Se si parla di certi argomenti, occorre assumere innanzitutto la giusta faccia di circostanza (triste, grigia, lugubre) e poi esprimere un'opinione, non importa quanto trita e banale, ma allineata sulla posizione di una delle due parti contendenti. Nessuna delle quali, peraltro, rappresenta la povera donna in coma da 17 anni, ma soltanto i propri preconcetti. Che uno possa dire: "Sentite, innanzitutto siete dei maledetti sciacalli che non hanno nessuna vergogna di sbandierare una persona e una famiglia vittime di una disgrazia terribile per degli obiettivi che non hanno nulla a che fare con loro; e poi dovete finirla di tirarmi per la giacca perché io non la penso come voi e non sarà certo facendo in in questo modo che mi convincerete", non è, evidentemente, ammissibile.
Personalmente, credo che abbia ragione il signor Englaro a voler interrompere l'alimentazione forzata: non credo abbia il minimo senso sforzarsi di tenere in vita, contro ogni naturale evidenza, un corpo che ormai vegeta senza speranze. Pensò però anche che la questione del testamento biologico non vada affrontata con leggerezza (se devono farci una legge come la Cirami o la Cirielli, è meglio il vuoto normativo), soprattutto in un contesto storico come quello attuale, in cui l'ossessione per la privatizzazione dei servizi e quella per il taglio dei costi superflui possono davvero portare ad aberrazioni degne del peggior Mengele. Ma questa, al momento, è un'ipotesi lontana, perché l'orientamento generale sembra rivolto verso la direzione contraria: che, se possibile, è ancora più sbagliata. I criteri per stabilire lo stato di vita o non-vita, e la conseguente titolarità dei diritti personali, non sarebbero più scientifici o condivisi attraverso una qualche forma di discussione, ma imposti da chi è in grado di influenzare l'opinione pubblica, in base a ogni sua superstizione e idiosincrasia o al semplice capriccio. Naturalmente, per chi non l'avesse capito, sto stigmatizzando la pesantissima ingerenza del Vaticano negli affari dello Stato italiano, ingerenza che (a prescindere dalle mie opinioni in materia religiosa o teologica, che comunque non sono quelle di un ateo) mi rifiuterò di considerare legittima almeno fino a quando il Vaticano continuerà a ricevere palate di soldi e a godere di altri privilegi di ogni tipo dallo Stato italiano. Ma qui, di questi tempi, a quanto pare, avere conflitti di interesse è uno status symbol che fa figo e attira simpatie.
In tante ore di servizi televisivi sulla storia di Eluana, non ho sentito mezza parola di dolore per la vita irrimediabilmente spezzata di una ragazza nel fiore degli anni, di uno sguardo vivace e un sorriso luminoso che ora appaiono solo in qualche istantanea, spenti per sempre come sono. La piccola esistenza di Eluana non era diversa o lontana da quella tutti noi e, ogni tanto, faremmo bene a immaginare un mondo parallelo, come quello che vede il protagonista di "La vita è meravigliosa", per renderci conto di come la mancanza o la perdita di persone insignificanti quanto noi, eppure per noi importantissime, avrebbe potuto renderci molto diversi e spesso costarci caro. Guardo Eluana e penso a una donna che commetterà (o ha già commesso) un errore gravissimo destinato a segnare per sempre la sua vita, perché non aveva accanto l'amica che le avrebbe dato l'unico consiglio per evitarlo; oppure a un uomo destinato a vivere un amore meraviglioso e che invece resterà solo o insoddisfatto per tutta la vita. La vera tragedia di una vita stroncata nel fiore degli anni è questa, e la volgarità con cui gli omuncoli e gli sciacalli continuano senza ritegno a esibire questo orrendo spettacolo con il chiaro intento di condurci emotivamente dalla lora parte, fa semplicemente schifo.
Il fatto che, poi, qualcuno abbia costruito le sue più grandi fortune su una televisione che non fa altro che proporci storie simili, nello stesso modo, tutti i giorni, e che questo qualcuno ora sia in grado di decidere indisturbato del futuro di molti di noi, è solo la ciliegina sulla torta... ogni giorno, sempre più indigesta, e non fatemi dire altro.