"La vita è solo un'ombra che cammina, un povero attore che tutto tronfio si dimena durante la sua ora sulla scena, e poi non se ne sa più nulla; è una storia raccontata da un idiota, piena di clamore e di furia, che non significa nulla"
(Macbeth, atto V, scena V, versione di A. Meo)
Queste sono parole su cui ho riflettuto a lungo, da quando le ho lette per la prima volta, diversi anni fa. Credo che, portate alle loro estreme conseguenze, implichino scelte terribili, forse apocalittiche, ma anche che contengano molta più verità di tante sentenze piene di un ottimismo tanto ben confezionato quanto fasullo. E poi, non è necessario portare sempre tutto alle sue estreme conseguenze. Magari il povero attore sa recitare abbastanza bene da farci decidere di seguire la commedia fino alla fine, o è un'attrice talmente attraente che ci sforziamo di seguirla lo stesso, anche se non sa recitare.
Quando mi trovo ad ascoltare un uomo che vanta senza sosta le proprie imprese, la prima cosa che penso è che ho davanti qualcuno con un livello di autostima personale piuttosto basso; man mano che insiste, comincio a pensare che forse deve affrontare nella sua vita quotidiana dei problemi tanto seri quanto imbarazzanti, per esempio una disfunzione erettile; in alcuni casi, il parossismo di chiacchiere autocelebrative arriva a convincermi che ho davanti uno psicopatico e che forse sarebbe il caso di pensare a come contenerlo, con una camicia di forza o con antipsicotici somministrati a dosi da cavallo.
Se lo stesso spettacolo mi appare in televisione (su un canale preso a caso, ad esempio Rete 4) e il soggetto chiacchierone parla a una platea di gente che sventola ritmicamente, senza sosta, delle bandiere e accompagna i passaggi-chiave (che si riconoscono da come cambia la voce) con versi animali tipo ululati e latrati o altre manifestazioni da ultras del tifo organizzato, la mia residua fiducia nel genere umano mi induce a credere che il pubblico sia costituito da figuranti pagati apposta per fare ciò che fanno: infatti, non riesco a immaginare un'altra ragione per cui degli esseri umani debbano scendere così in basso.
Potete dunque immaginare come mi sento ogni volta che seguo un telegiornale. Non a caso, ne seguo solo il minimo indispensabile.
Riconosco che infilare citazioni dappertutto non è proprio il massimo dell'arte di scrivere: ma non posso farne a meno. E' una questione di onestà intellettuale. Ci sono idee e concetti che sono arrivato a concepire da solo, per poi ritrovarli - tra l'altro espressi molto meglio di quanto io non sia mai riuscito a fare - in pagine scritte da persone vissute prima di me. Confesso che mi piacerebbe rivendicarne la priorità, ma non posso commettere simili scorrettezze. Perciò li cito. Ascoltare questa, per esempio:
"Un'autobiografia è attendibile soltanto quando ci rivela qualcosa di disonorevole. Lo scrittore che ci dà un quadro favorevole di se stesso è probabilmente in mala fede, perché qualsiasi vita vista dall'interno non è altro che una serie di sconfitte."
(George Orwell, Benefit of Clergy)
O quest'altra, di una così sublime perfidia:
"Per un uomo che si vanta di scrivere soltanto la verità, trovo più che strano che non una volta nel corso della lunga narrazione qualcuno dica: 'Henry, sei una merda.' Naturalmente è possibile che nessuno l'abbia mai detto, ma ne dubito."
(Gore Vidal, recensendo Sexus di Henry Miller)
Sarà l'abitudine alla mediocrità della vita quotidiana, ma trovo fin troppo naturale la presenza di pensieri come questi nella mia mente. Quando poi mi trovo a confrontarmi - e avviene fin troppo spesso - con gente capace di tirare in causa nobili ideali e massimi sistemi anche se si sta parlando di patatine fritte e ketchup, ogni possibile senso di vergogna svanisce. Sbaglierò, ma sono convinto che sia sempre meglio una sola piccola cosa vera che tante grandi cose false. Forse non è il tempo adatto per coltivare simili pensieri - ce ne sono mai stati? Chissà... - ma non riesco a farne a meno, è più forte di me.
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